L’opera in Europa nel 1600: Lully, Purcell e Scarlatti.
Puntata Terza
L’opera varca i confini nel 1600. In Germania, Francia ed Inghilterra, si espande il genere e si amplia la forma con Jean Baptiste Lully, Henry Purcell e Alessandro Scarlatti.
Abbiamo visto che opere di Cesti, Rossi, Cavalli ed altri venivano rappresentate sulle scene in alcune grandi città europee. Tuttavia, la nascita di compagnie teatrali già nella prima metà del secolo avevano diffuso l’opera italiana soprattutto nel centro Europa. In Germania l’opera italiana compare già attorno al 1618 e diventa in breve e per lungo tempo lo spettacolo teatrale per eccellenza, per lo stile, la lingua e i cantanti che ne erano protagonisti.
I tentativi di far nascere un’opera nazionale sono alquanto isolati. In Germania, all’inizio del secolo, troviamo la figura di Heinrich Schutz (1585-1672) autore di quella che viene considerata la prima opera tedesca, “Dafne”, in un adattamento compiuto dal poeta tedesco Martin Opitz del vecchio libretto di Ottavio Rinuccini. L’opera venne rappresentata nel 1627 a Torgau in occasione delle nozze della principessa Luisa di Sassonia con il langravio Georg von Hessen-Darmstadt. La partitura di “Dafne” però è andata perduta, quindi, ci è impossibile valutare il reale valore di quest’opera. Alla fine del secolo, nello scarso panorama dei compositori tedeschi, troviamo Johann Sigismund Kusser (1660-1727), abile compositore ma soprattutto abile diffusore presso il pubblico tedesco della musica francese ed italiana. Ma il dominatore delle scene tedesche negli ultimi anni del XVII sec. è il compositore veneziano Agostino Steffani (1654-1728). Attivo tra Monaco e Hannover, compose la maggior parte delle sue opere tra gli anni’ 80 e’ 90 del secolo. I suoi lavori, da “Niobe, regina di Tebe” (1688) a “Henrico il Leone” (1689) fino a “Tassilone” (1709), rappresentano il punto d’arrivo dell’opera di fine Seicento, portata al suo massimo livello stilistico, e il punto di partenza per l’opera seria settecentesca che si sarebbe sviluppata in Germania, in particolare attraverso le composizioni di Reinhard Keiser e di Georg Friedric Handel, che proprio da Steffani fu incoraggiato alla composizione.
In Francia avevamo visto rappresentate le opere di Luigi Rossi (“Orfeo”, 1647) e Francesco Cavalli (“Ercole amante”, 1662) ma, al contrario di quanto avveniva in Germania, l’opera italiana non è particolarmente amata. Proprio contro il predominio di questa, si pone paradossalmente un italiano, il fiorentino naturalizzato francese, Jean Baptiste Lully (1632-1687) il fondatore della tragédie-lyrique francese. Così, mentre in Italia la struttura dell’opera si stava rivolgendo sempre più a favore dell’aria, in Francia avveniva il contrario. A dominare è il recitativo drammatico dagli accenti enfatici e declamatori, preso in prestito dalla Comédie francaise, mentre assai poco viene lasciato al canto vero e proprio, cioè all’aria. Primeggiano invece le ricchezze dei timbri orchestrali, i cori e soprattutto le danze; un gusto quello per la danza tipicamente francese, in costante crescita già dalla seconda metà del XVI sec. e che rimarrà pressoché inalterato fino a buona metà del XIX sec.. Si costituiscono così grandi scene d’assieme con cori, scenografie e costumi altrettanto sfarzosi, e danze distribuite in ciascuno dei cinque atti che caratterizzano generalmente la struttura della tragédie-lyrique. L’andamento della vicenda ne risulta alquanto rallentato ma nel tessuto dell’opera le danze costituiscono una ragione insostituibile. Questa struttura scenico-musicale verrà riproposta in maniera quasi immutata per tutte le opere di Lully: da “Atys” (1676), “Psyche” (1678), “Phaeton” (1682), “Amadis” (1684), fino ad “Armide” (1686), la sua ultima opera, nella quale il compositore raggiunse il perfetto equilibrio tra declamato drammatico e melodia.
Al modello della tragédie-lyrique lulliano restano sostanzialmente fedeli anche i compositori successivi, da Marc Antoine Charpentier (1634-1704), autore di una acclamata “Medee” (1693) e Marin Marais (1656-1728) celebre per l’opera “Alcyon” (1706) che contiene “La Tempete”, una magistrale e realistica descrizione orchestrale di una tempesta di mare, fino a André Campra (1660-1744) che con la sua “L’Europe galante” (1697) portò ad alto livello il genere dell’opéra-ballet, costituito da una serie di quadri, generalmente a sé stanti e senza una particolare azione drammatica, con arie, balli, cori e scenografie sontuose.
In Inghilterra, i puritani anche se non sopprimevano la musica profana, non favorirono lo sviluppo dell’opera che, fra non pochi ostacoli, cercava di imporsi con il masque, una forma di spettacolo molto simile al ballet de court francese (che poi si era sviluppato nell’opera-ballet) costituita da arie (songs), dialoghi in prosa e danze, senza una vera e propria azione drammatica. Nel XVIII sec. emerge tra le altre la figura di John Blow (1649-1708), compositore assai apprezzato alla corte inglese, con il suo “Venus and adonis” (1681) che risente certamente del gusto francese. L’ouverture, il prologo e le danze mostrano chiaramente questa influenza. In misura assai minore, Blow guarda allo stile italiano; certe intensità espressive fanno in effetti capire che l’opera e la cantata italiana non gli erano ignote.
Allievo e poi collega di Blow è Henry Purcell (1659-1695), l’autore di “Dido and Aeneas”, la sua unica vera e propria opera (il resto della sua produzione vocale è legata per buona parte a musiche di scena), il suo capolavoro è sicuramente uno dei momenti più alti della storia dell’opera. La prima rappresentazione di cui si abbia notizia è nella primavera del 1689 al Collegio femminile di Joasis Priest a Chelsea (Londra), probabilmente in occasione dell’incoronazione di Re Guglielmo. In “Dido and Aeneas” vi sono sicuramente dei paralleli con l’opera di Blow, ma in Purcell il linguaggio è più marcatamente moderno, l’attenzione espressiva è costante e continua, il recitativo è di grande bellezza, in un perfetto equilibrio tra parola e musica. Questa è costantemente animata da un senso di tragedia che incombe per tutta l’opera. Morto Purcell, si esaurisce il discorso musicale da lui avviato e il XVIII sec. sarà pieno appannaggio dell’opera italiana. Solo nella seconda metà del XIX sec., l’Inghilterra troverà una propria identità musicale.
Al principio del XVIII sec. l’opera in stile italiano si era diffusa ormai in tutta Europa ad eccezione, come abbiamo visto, della Francia, dove impera la tragédie-lyrique. Ora, grazie anche alle nuove importanti figure di librettisti, quali Apostolo Zeno (1668-1750) e Pietro Metastasio (1698-1782), si configurano nuovi generi teatrali: nasce l’opera seria.
Dai libretti, quasi sempre incentrati su vicende tratte dalla storia greca e romana, vengono eliminati i riferimenti e i personaggi comici che passeranno nell’intermezzo il quale segnerà la nascita dell’opera buffa.
Figura di “trait d’union” tra l’operismo seicentesco e le nuove forme che da questo si stavano sviluppando, è certamente quella del compositore palermitano Alessandro Scarlatti (1660-1725). Trasferitosi dodicenne con la famiglia a Roma, esordisce come operista all’età di diciannove anni, nel febbraio del 1679, con l’opera “Gli equivoci nel sembiante“. Il successo è immediato e grazie anche alla protezione della regina Cristina di Svezia si avvia verso una brillantissima carriera compositiva. Attivo tra Roma, Firenze e Napoli, fu soprattutto in questa città, nella quale giunse per la prima volta nel 1684, che Scarlatti lasciò la sua impronta più significativa. Tra le sue opere ricordiamo il “Pirro e Demetrio” (1694), “Mitridate Eupatore” (1707), “Tigrane” (1715), l’opera comica “Il trionfo dell’onore” (1718) e “La Griselda” (1721). Sono importanti le innovazioni stilistiche apportate da Scarlatti all’opera: stabilisce lo schema della sinfonia avanti l’opera che si apre con un movimento veloce, al quale segue un breve adagio e in chiusura nuovamente un allegro, generalmente su un tempo di danza; introduce un ampio uso di recitativo accompagnato, che si contrappone a quello secco, allo scopo di raggiungere forti effetti drammatici: darà la struttura formale definitiva dell’aria col da capo e fissa un uso dell’orchestra sempre più ricco e vario.
Al prossimo appuntamento…